Il colosso cinese dei droni DJI ha perso la sua battaglia legale contro il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Il giudice federale Paul Friedman ha infatti confermato la decisione del DoD di includere l’azienda nella lista delle “Chinese Military Companies“, un elenco creato sulla base della Sezione 1260H che raccoglie le realtà ritenute legate alla difesa di Pechino.
La vicenda risale al 2022, quando il Pentagono inserì DJI nella lista, decisione contestata dall’azienda con un’azione legale nell’ottobre 2024. Secondo il giudice, non esistono prove che DJI sia “indirettamente controllata dal Partito Comunista Cinese”, come sostenuto dal DoD. Tuttavia, il riconoscimento da parte della Commissione nazionale cinese per lo sviluppo e la riforma, che ha classificato DJI come “Centro tecnologico aziendale nazionale” garantendole sussidi, incentivi fiscali e supporto finanziario, è stato ritenuto sufficiente a giustificare la designazione.
Friedman ha anche rilevato errori e argomentazioni deboli da parte del governo statunitense, come la confusione tra differenti zone industriali cinesi, ma ha ribadito che il DoD gode di ampia discrezionalità nel decidere quali aziende inserire o meno nell’elenco. Una discrezionalità che, secondo DJI, genera disparità: l’azienda ha sottolineato come altre multinazionali straniere con simili benefici statali in Cina, tra cui Volkswagen e Nokia, non siano state classificate nello stesso modo.
Per DJI la decisione rappresenta un ulteriore ostacolo sul mercato statunitense. A dicembre entrerà infatti in vigore un blocco totale delle importazioni di nuovi prodotti, mentre numerosi rivenditori già oggi lamentano scaffali vuoti a causa dei controlli doganali. Il marchio, da tempo, ha smesso di introdurre i propri modelli di punta negli Stati Uniti.
Pur dichiarandosi delusa, l’azienda ha evidenziato come la corte abbia respinto la maggior parte delle giustificazioni addotte dal Dipartimento della Difesa, e sta valutando un possibile ricorso. DJI ha ribadito il proprio impegno a servire clienti e partner americani, rivendicando un approccio basato sull’innovazione, l’affidabilità e la sicurezza dei propri prodotti, e chiedendo condizioni di concorrenza eque.
Il caso DJI non è isolato: anche altre aziende tecnologiche cinesi, come Hesai Group (produttrice di sensori Lidar), hanno contestato senza successo l’inserimento nella lista del DoD. La vicenda si inserisce nell’ambito delle crescenti tensioni tra Washington e Pechino, in cui la tecnologia civile ad alta diffusione viene sempre più percepita come un potenziale strumento strategico.