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Dino Brown, il potere della dance anni 90: “Ho un sogno, Gigi D'Agostino e Joe T Vannelli…”

“È negli anni ’90 che ho deciso di saper fare questo mestiere. È come se questa musica avesse dato immediatamente una direzione alla mia vita”. Dino Brown è tra le colonne portanti di m2o. E da queste parti lo consideriamo ormai uno di casa. Dunque ci sta che uno schietto botta e risposta sul successo della raccolta “m2o – La Storia della Dance” si trasformi in una chiacchierata a 360 gradi sulle sorti dei locali, delle radio e della musica. L’input è il tour de force di interviste con i personaggi della dance anni ’90 e 2000 durante i maxi speciali La storia della Dance. Nove di questi incontri li trovate in forma condensata nella citata raccolta. Dove c’è spazio soprattutto per le produzioni Made in Italy dell’epoca, spesso tralasciate dai professionisti del revival eppure mai dimenticate dal pubblico. Il viaggio progressive del secondo cd, ad esempio, è una bella scoperta per chi non c’era. E una botta di vita per chi con la dance odierna si annoia. 

Dunque, soprattutto in una serata, guardarsi indietro diventa la regola.
“Non godendo di tante hit, come negli anni ’90, devi stare attento alla selezione. Tanti si improvvisano dj, ma proprio adesso ci sarà una scrematura tra chi questo mestiere sa farlo e chi non sa fare un cazzo. Dj superstar un corno, io sono contro. Se non fai ballare, significa che questo mestiere non lo sai fare. Sembra che i dj facciano i dischi per i dj. Nessuno pensa più alle persone. E quando ti allontani dalle persone è la fine. Alla gente cosa vuoi che freghi dei dj? È importante chi viene alle nostre serate, chi ancora compra la musica”.
La sensazione è che nelle case discografiche l’ultima parola sia degli esperti di marketing e non più di chi ascolta i dischi.  
“La major di turno ti tiene in considerazione solo se sei Sfera Ebbasta. Anche negli anni ’90 era così. Solo che sono spariti talent scout come Claudio Cecchetto, gente che ci credeva davvero, che non badava solo ai soldi. Oggi tutti i dj rincorrono la hit, tutti guardano a ‘sto cazzo di estero, che però non ci appartiene. Se continueremo a guardare fuori, la dance morirà completamente, o resterà di nicchia. Invece gli anni ’90 erano di tutti. Non erano di nicchia”.
Tra i tanti saltati sul carro del pop certo non si scorgono novelli Fatboy Slim.  
“La superficialità ha ingoiato il mondo dei dj. Si pensa all’arricchimento immediato, poco al futuro. I dj vengono spremuti come limoni. Subentrano i soldi, magari un editore che ti aizza a fare pop, altrimenti le radio ‘ti snobbano, ti dimenticano’. E così il sistema si sputtana all’infinito. Oggi, di una produzione, già dopo una settimana non ne parla più nessuno. Per questo ci servono i soldi delle major per far restare i dischi sempre in alto su iTunes. Quanto alle radio, non risultano pervenute. Se permetti, la ascolto solo se c’è qualcuno che passa un’ora di Hardstyle, non il gioco telefonico, il dj set o l’oroscopo. Bisognerebbe osare più spesso. Io ci metto sempre del mio, con questo tipo di cose ci gioco molto. Mentre gli altri sembrano tutti troppo omologati. Tutti ancora legati al vecchio contenitore musicale del primo pomeriggio, che è superato”.
L’emblema dell’omologazione resta la radio di flusso, che grazie al popolo italico ha sempre più consenso. 
“La scelta delle canzoni è banale perché devono accontentare tutti. Sono radio a contenuto musicale, ossia a contenuto nullo, visto che la musica è fruibile ovunque. Passare 4 volte al giorno Ligabue e Vasco non ha senso, Spotify fa la stessa cosa, e almeno non c’è uno speaker che rompe i coglioni. Vanno bene come sottofondo nelle palestre. Ma il vero dramma è quello delle piccole radio che le imitano, dove giocoforza si cade nel banale, anche perché, in 30 secondi, cosa cazzo vuoi dire? A ‘sto punto, meglio un robot che legge il meteo e gli sms”.
Qual è il messaggio che si vuole veicolare attraverso la musica? 
“Quello che gli artisti non siano persone normali. Spacca chi fa cose che spaccano, come Sfera Ebbasta e J-Ax. O i casi umani (come Ghali, ndr). Però si sta esagerando, e il voler spaccare a tutti i costi sta facendo scadere tanti nel becero. Bisognerebbe imparare a conoscere il proprio lavoro, i propri limiti, fare spazio a idee non banali. E proporre delle cose che non siano Young Signorino (sorride, ndr). Altrimenti la gente si allontana. Perché la gente ha bisogno di normalità. E li subentra RTL. Presto sarà figo non essere sui social. E a quel punto RTL farà il social delle famiglie, dove postare la foto dello zio o del cane. Come ha analizzato uno psicologo, Young Signorino ha tutte quelle visualizzazioni perché è come guardare un incidente stradale, la Costa Concordia, o farsi le foto ad Avetrana. Hai visto tutto, guardi anche ciò che non è bello”.
Tornando ai tuoi anni ’90, la carrellata di interviste come parte? 
“Stefano Mazzavillani dei Datura si prestò per una chiacchierata lampo. Poi tornò col socio Ciro Pagano. Così pensai: due regine della dance come Nathalie Aarts dei Soundlovers e Regina sono a Roma e non le invito? Da lì, la baraonda non si è più fermata. Le mie non sono interviste, ma veri viaggi musicali. La musica è la figata del format, è grazie ad essa che il personaggio viene fuori completamente. Non ho autori, faccio tutto con la mia capoccia. Né vado a braccio. Sono maniacale nello studiare le carriere degli artisti, che incontro già una settimana prima. Gigi D’Agostino vorrebbe fare una puntata su Le voyage. Lo aspetto. Poi vorrei avere Luca Pretolesi, Ralf, Albertino e i soci del Deejay Time, Joe T Vannelli, Jenny B, gli Stunned Guys. Non voglio dare un taglio solo dance. Voglio spaziare”.
Oggi fare revival conviene, soprattutto agli artisti dell’epoca. 
“Alcuni sono convinti che oggi chiunque sia in grado di guadagnare più di loro semplicemente mostrando tette & culi in console (e forse in parte è così, ndr). Altri, piuttosto viziati, ragionano: ‘Ai tempi con una produzione guadagnavo minimo 4 milioni di lire, adesso se va bene prendo 100 euro’. Anziché attaccarsi al soldo, farebbero meglio a rimettersi in gioco, a ripartire da zero. Ma non tutti ne hanno voglia, lo capisco. Prevale il refrain del ‘tanto non ne vale la pena’, ed è un peccato'”.
L’emozione più forte in onda? 
“Con Sandy Chambers, la voce di tanti successi di Corona, Double You e Benny Benassi. Una vera regina della dance, anche se è sempre stata defilata, ‘nascosta’. Ha cantato per tutta la diretta, nonostante lei si conceda poco. L’amore che ha dato con la sua voce le è stato restituito nei commenti sui social. Sentirla cantare dal vivo Illusion dei Benassi Bros è stato un regalo da pelle d’oca. In quel momento mi sono reso conto di aver realizzato qualcosa di veramente grande. Che superava i confini di m2o”.
Cosa ti rende più fiero di questa avventura? 
“Avere acquisito credibilità con gli artisti. Apprezzo quelli che esternano la loro professionalità e la loro grandezza. Cosa che non può fare chiunque. Ora tutti vogliono venire e raccontare la loro storia. Però sanno che non scendo a compromessi. Non è un premio alla carriera. A casa mia, si parte dagli esordi e si arriva ai giorni nostri, se non ti va arrivederci e grazie. Ne ho così tanti da chiamare che potrei andare avanti per 5 anni. Ma smetterò molto prima. Per le cose più belle un inizio ed una fine devono esserci per forza”.

di Leonardo Filomeno
@l_filomeno


Fonte: http://www.liberoquotidiano.it/rss.jsp?sezione=375


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